Testimonianze: Conterno G.Battista - Voena Gino - Viotto Rino - Avv. Camillo Piacenza
Il racconto di mio padre, Conterno G.Battista
Quel 5 luglio 1944 era un
mercoledì come tanti. Come tanti altri in tempo di guerra.
Ma un po’ prima di mezzogiorno,
in paese si sparse velocemente la voce: “I tedesch, i tedesch”. Infatti, una
colonna di nazifascisti proveniente da Carrù si stava dirigendo verso
Farigliano.
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Conterno G.Battista
"Tistin" |
Conterno G.Battista (1930-2022), si trovava come al solito nell’officina di "Cursin" (Andrea
Corsino), in via dell’Asilo, ad imparare il mestiere di fabbro. Così ricorda quella sua giornata.
«Ho sentito un gran trambusto per strada,
allora sono uscito a vedere cosa stesse succedendo, c’erano bambini che
correvano, forse inconsciamente, mentre uomini e ragazzi scappavano verso le
colline, i tedeschi erano già sul piano della Mellea. Mi sono voltato verso l’asilo,
l’orologio sulla facciata segnava le 11.30 esatte. Cosa fare? In
officina erano spariti tutti, decido di andare a casa, dal “ciuchè” (Piazza
S.Giovanni). Mi incammino, ma quando
arrivo in piazza invece di proseguire verso la Chiesa, svolto a destra, verso
la strada che porta a Carrù, dopo pochi metri sono al curvone che si affaccia
sul Tanaro. A quell’epoca la vegetazione era poca, li vedevo bene, erano già
nella discesa della Calcinera. Autoblindo e camion. Ma proprio in quel momento...
ta-ta-ta-ta-ta ta-ta-ta-ta-ta, le
mitragliere hanno iniziato a sparare sulle case e verso la collina. Non ci
penso un attimo, torno indietro, costeggio a raso il muro dell’attuale
consorzio agrario e proseguo verso casa».
Quelle prime mitragliate
falciarono due civili, Giovanni Mancardi, per tutti “Balin” di 82 anni seduto
sul muretto del cantone, a pochi metri da dove era arrivato mio padre e
Giovanni Taricco detto il Martinet di 86 anni che stava rincasando. Colpevoli
di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Quando sono arrivato dal “ciuchè” invece di andare da mia madre sono
andato a casa di mia sorella Rina che abita a pochi metri da noi, ho fatto le
scale e da dietro un muretto osservavo il corso del Tanaro, in quel periodo in
magra; parecchi tedeschi lo stavano attraversando a piedi e si dirigevano verso
il rio Lupo per poi salire in paese».
Il ponte stradale era stato fatto "saltare", dai partigiani, qualche giorno prima. Nello stesso momento altri militari guadavano il fiume nella
zona della stazione, era la classica manovra di accerchiamento.
«La notizia era già arrivata anche qui, mia sorella era rimasta sola con
il figlio Franco di appena un anno, suo marito Giuseppe e il fratello di
questi, Ettore[1],
erano scappati verso le colline. L’altra mia sorella Maria “spedita” da mia
madre in Cornole, con le sue amichette. Mio padre, forse ancora all’oscuro di
tutto, dal mattino presto si trovava nella vigna in Carpenea. All’appello mancava soltanto
l’altra mia sorella, la più piccola, Lidia, che
era all’asilo.
E proprio di
lei, mia madre era preoccupata, infatti mi disse “vai a prenderla e portala a
casa”. Avrei dovuto rifare praticamente
la stessa strada di poco prima. Non senza timore mi incammino. Arrivato
in prossimità della Chiesa, vedo una gran confusione, soprattutto nella parte
bassa della piazza, ormai i tedeschi erano in paese, spaccavano porte,
finestre, tutto quello che trovavano,
entravano nelle case e saccheggiavano. Le mitragliere, dalla Calcinera, non sparavano più». Anche perché avrebbero rischiato di “spararsi addosso”.
«Con cautela, sono riuscito ad arrivare all’inizio di via Asilo, passo
ancora davanti all’officina che avevo
lasciato poco prima. Proseguo indisturbato, ma quando sono ormai a pochi